lunedì, ottobre 09, 2017

Night Train Blues #2 - Amici

Per anni ho viaggiato di notte. Inseguendo un sogno in giro per l'Italia ho incontrato me stesso negli EuroNight, negli Intercitynotte, negli affollati scompartimenti da sei cuccette; e in tutta l'intimità forzata dovuta agli spazi ridotti, il mio microcosmo di umanità.
In quelle notti di sonno intermittente avevo sempre con me un piccolo quaderno dove poter raccogliere i pensieri. Spesso ancora mezzo addormentato, a malapena cosciente, riempivo le pagine di canti naufraghi, amanes deliranti, e poesie incompiute la cui  "forma" era, nella migliore tradizione della prosa spontanea, lo spazio offerto dalla pagina. I miei night train blues...


II

Non i mille buffoni da applauso condizionato che riempiono i palcoscenici della tua invidia, neanche i cari scogli su cui naufragare per le vele gonfiate dall’alcol, o i mari sicuri dove vorresti poter ritornare, ma solo quella sensazione di assenza e d'impotenza verso quelle anime trasparenti, non importa quanto lontane, che prima animavano la tue giornate e nient’altro.

Non la malinconia del saggio o la serenità del mistico, niente istantanee né inutili fotoromanzi cerebrali popolati da carrozzoni ambulanti, ma solo sedie vuote da dove nessuno può vederti scrivere nel buio della notte e nient’altro.

Non l’avventura di una visione differente, lo scopo di una vita, non il coraggio di accogliere l’altro, solo gli anniversari, un lungo assolo di chitarra distorta e nient’altro.

Non gli annunci al telegiornale, gli esami e le audizioni, non i risultati e le sirene della polizia ma solo quel piccolo laccio nero intorno al polso e nient’altro.

Sapere di non poter pretendere più nulla, di non potersi disperare, sapere tutto e non dire niente, perché non hai più nessuno che ti possa ascoltare, solo le lacrime a colmare quella voragine aperta dagli anni che passano portandosi via ciò che resta dei ricordi: rubare buoi e grosse pecore, riempirsi di monili e strumenti preziosi comprati col dolore della memoria di amori, odi e passioni che ora non sono più, cercare di dimenticare, ogni volta che ci passi davanti, che di ogni persona che hai amato, non resta che una lapide bianca e nient’altro.

1 commento:

  1. E poi, e poi cosa dire, guardarsi intorno. Oserei dire omologarsi per sopravvivere, per tentare di sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda che vince costantemente, senza possibilità di replica, a dispetto dei molteplici mondi paralleli che corrono costantemente verso un'utopica riscossa.

    E poi, e poi come dire, sentirsi meno soli. Oserei dire quasi finalmente compresi. Una sorta di riduzione improvvisa della anomala diversità che permea i circuiti celebrali. Un regalo per quei neurotrasmettitori anarchici, allo sbaraglio, sempre pronti a giocarti un brutto tiro.

    Sentirsi all’improvviso riscaldati da pensieri di certo spessore, da suoni caldi, da immagini di origini sconosciute che però ricordano un vecchio rosso focolaio.
    Ripercorrere tutto d’un fiato gli anni trascorsi, riderci sopra, a volte addirittura vergognarsi di certe scelte, di certi atteggiamenti, di certe azioni.
    Sentirsi travolgere da un forte vento. Forte vento su terra arida, che sconvolge e porta via. Ritrovare per pochi attimi quelle sensazioni che percorrono in senso cranio caudale ogni connessione nervosa, muscolo, tendine, pezzetto di cute.

    Brividi, sento freddo. Il tunnel spazio temporale si chiude di colpo, lasciandomi senza parole, così come si era aperto.

    La leggera sensazione di complice umanità lentamente svanisce, scompare pian piano scivolando giù come sabbia tra le mani, lasciando solo un confuso sapore tra l’agro e il dolce in bocca.

    Sarà stata forse solamente un’illusione della mente?

    Magari, forse un giorno, la realtà risponderà superando la fantasia.


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