lunedì, ottobre 16, 2017

Night Train blues #3 - Eroi

Per anni ho viaggiato di notte. Inseguendo un sogno in giro per l'Italia ho incontrato me stesso negli EuroNight, negli Intercitynotte, negli affollati scompartimenti da sei cuccette; e in tutta l'intimità forzata dovuta agli spazi ridotti, il mio microcosmo di umanità.
In quelle notti di sonno intermittente avevo sempre con me un piccolo quaderno dove poter raccogliere i pensieri. Spesso ancora mezzo addormentato, a malapena cosciente, riempivo le pagine di canti naufraghi, amanes deliranti, e poesie incompiute la cui  "forma" era, nella migliore tradizione della prosa spontanea, lo spazio offerto dalla pagina. I miei night train blues...


III

Un giorno, solo. Per esser liberi, o sentirsi tali; le prime fughe da casa, le notti passate nelle grandi, immense, stazioni di città sconosciute. Il tentativo di vivere appieno un’esistenza che ad ogni nuova alba appare come un dono troppo raro per essere sprecato nel paese natio, chiuso in un locale tra un bicchiere di vino e una scommessa mai giocata, o perso a camminare per strette strade di ciottolato sorretto da un’inutile stampella. 

Convinto sia meglio splendere in fretta che consumarsi lentamente, vedersi di colpo riflesso nel finestrino del treno dieci anni più tardi: calzetti bordeaux in filo di scozia, vestito grigio d’ordinanza e tutta la ribellione giovanile racchiusa insieme alla rabbia dentro il cappio di una cravatta giallo canarino, gli occhi nel giornale, e un’assurda espressione rassegnata da pendolare appagato che crede di aver trovato il senso dell’esistenza in un deca-macchiato dopo i pranzi di lavoro...

Un solo giorno, per iniziare un altro capitolo della propria storia, fatta di sogni e speranze ingenue che hanno la forma affusolata di un tubo d’argento e l’accento marcato di giovane ragazza della Carnia. Incastonate nel pendaglio che porti al collo, continuano a ricordarti della donna, perché è sempre per una donna che si parte o si muore, che ti ha spinto senza mai saperlo a salire sul treno.

Solo per un giorno sentirsi finalmente integri e padroni della propria storia dissonante, quella tensione che non risolve, un contrappunto dove l’anima e la carne si uniscono nell’infinita distesa di lacrime dove si vedono le viscere della vita in trasparenza. Poi, che venga o meno il tramonto, credere all’illusione che niente possa portarti via, al ritorno del sole di cartone che ti ha messo al mondo. Credere ai tre ragazzi immaginari, alle stelle dentro i testi delle canzoni, credere alla vibrazione di fondo, credere.

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