martedì, marzo 18, 2008

Una storia

c'è solo un po' d'amore, che mi è rimasto qui...

Ieri notte tornavo a casa stanco, l'umidità degli ultimi giorni ha ceduto il passo e le ombre si sono riprese la loro città. Piove.
Attendevo paziente dentro l'autobus, quando la testa ha iniziato a pulsare: prima un battito regolare, incessante, poi d'improvviso uno sfregio rosso in campo verde, un amo conficcato nella materia grigia che ne rompe la quiete e ne perturba i campi magnetici, un avviso del dolore che si insinuava ancora, l'annuncio disperato di una storia che reclamava a gran voce di non essere dimenticata... così sono corso a casa fino a scaricare sulla tastiera ogni sillaba, ogni lettera di questa storia senza tempo e senza nome, una storia di distanze e simmetrie, di sottili leggi sottese ed invisibili, di due anime che si rincorrono, o meglio che percorrono nello stesso momento una parte del loro sentiero...

"Y e X. Sirio vive nella città delle ombre, Tabita abita la frenesia. Si incontrarono stranieri al cospetto della Luce, e per diverso tempo sarebbero rimasti tali, troppo diversi, sebbene così simili. Sirio è incerto di se stesso, ma non lo dà a vedere, agli occhi del mondo viaggia senza freno verso il successo ed il futuro, solo di tanto in tanto qualche anima sensibile o qualche attento osservatore, inquadra la profonda solitudine dei suoi occhi; Tabita invece è confusa, e non fa nulla per nasconderlo, quello che nasconde, sotto chilometri di risate e litri di sudore è una velata tristezza che la assale ogni volta che si ferma a pensare.
La prima volta è
Sirio a notarla, certi occhi, non passano inosservati, ma è distratto, incompleto, non riconosce la simmetria dei loro sguardi, e forse è ancora troppo presto. Un anno dopo è Tabita ad accorgersi di lui, e questa volta è tutto perfetto, luoghi, tempi ed intuizioni: leggere l'altro per chiarire se stessi. Sirio e Tabita iniziano a capirsi, a completarsi. Salpano insieme verso la Luce, per la prima volta la loro esistenza appare piena di senso, si sostengono l'un l'altro, superando i rispettivi fantasmi passati, lui nella disperata dimostrazione della propria intuizione, lei concentrata sulla propria visione del mondo, che non era quella di Sirio, ma che purtroppo si nutriva della stesa desolazione. Così, durante il viaggio, distanza e desolazione iniziarono a separarli, permettendo alle ombre e a frenesia di riprendersi il loro spazio nelle vite dei viaggiatori. Nessuno dei due ebbe abbastanza forza e volontà per poter interrompere la partita invisibile giocata da distanza.
Sirio iniziò a dubitare, Tabita semplicemente sparì inghiottita dal vortice di frenesia.
Passò un altro anno, o poco meno, e ancora la magia si ripeté, e così molte altre volte, sempre uguale a se stessa fino a quando
Sirio smise di cercare la Luce, e Tabita; lentamente, od ogni nuovo incontro, dentro di lui prendeva forma la paura. Paura di ritornare alla solitudine in agguato dietro le parole prima e dopo - troppe parole tristi nelle canzoni - paura di non poter più sopportare le emozioni provocate dal gioco di distanza, paura e vergogna di se stesso, perché era sicuro che tra i due punti determinati dal caso e dal tempo, lei l'aveva amato, senza dubbio. L'aveva fatto nella sua maniera risoluta e vitale, egoista, con quella traccia di tristezza inconsapevole nelle pause. Con i modi appresi da frenesia, ma sì, l'aveva certamente amato. E lui pure aveva amato lei.
Non se lo erano mai detto, tanto grande era la voragine dentro di loro che non sono mai stati in grado di rischiare, e ogni incontro non ha mai aggiunto nulla alla magia di quella prima volta."


Siedo davanti alla finestra, guardo le stelle e il riflesso distante del faro che profila la ferriera - allegorie di certezze che diverranno tali solo molto tempo dopo - e mi chiedo: saremo ancora in tempo?

Canzone
Fammi vedere tu - Roberto Vecchioni, da Blùmun

1 commento: